Mettere a dimora una pianta è una piccola responsabilità.
Scegliere il posto, il sole, l’ombra, la vicinanza o la lontananza, vuol dire scommettere su ciò che sarà.
Col piccolo abbiamo trapiantato un pollone di fico, ribattezzato il fichino.
Piccino e sottile, era nato dove non doveva stare, dove non poteva stare.
Nato fra il muro e il giardino, vicino a una fontana.
Andava tolto da lì.
Abbiamo quindi prima scelto il posto.
Poi fatto un bel buco.
Con la vanga.
Il piccolo sostiene che un pochino l’ho aiutato anche io.
Bontà sua.
Poi abbiamo scavato intorno al fichino.
Che ostinato e cocciuto si era ficcato fino al centro della terra.
Allora abbiamo chiamato babbo, che, come dice il piccolo è forte come Hukk.
E poi tira.
Tira.
Tira.
Tira.
Tira.
Punf!
Il fichino si è arreso, decidendosi a venire via con noi.
L’abbiamo portato al buco nuovo, abbiamo ricoperto le radici, abbiamo annaffiato e compattato il terreno.
Poi gli abbiamo raccomandato di fare ammodino e di crescere presto e di fare qualche fichino.
E il giorno dopo, quando la pioggia, per l’ennesima volta ha ricominciato a cadere, mi sono scoperta a pensare “farà bene al fichino”.
E la pioggia è stata meno noiosa.