Comacchio

Comacchio con la pioggia battente non ha pietà.

Non si cura delle scarpe alla moda degli studenti, ancor meno di quelle delle studentesse.

Non si cura dei lunghi capelli, che scompiglia e bagna senza pensarci due volte.

Non si preoccupa dei jeans inzuppati, degli zaini sgonfi, delle mani intirizzite.

Ma resta bellissima.

Anche così, respingente e deserta.

Raccontante storie di miseria antica, di pesca di frodo fatta alle spalle dei signori, e per questo resa simpatica dalle parole indulgenti della guida.

Storie di pesca ufficiale e quotidiana, condotta dai poveri più fortunati degli altri, passanti la vita nel mezzo dell’acqua, le mani fra le anguille scodinzolanti anche dopo morte, gli zoccoli rumorosi, il fumo dei camini della marineria, le donne col fazzoletto, gli uomini con la pipa a ricucire reti.

Storie di ponti e canali, di pietra e di acqua salmastra e verdognola.

Storie di vento e di vele.

Storie di fiume e di mare, mescolati in un salmastro rimescolìo di mondi.

Comacchio commuove, anche quando maltratta, anche quando ti bagna e ti spettina, anche quando ti insegna che pure la primavera può essere un lusso, in un posto che ha conosciuto la povertà e il duro lavoro.

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