La maglina sulla pelle.
La voglia di brodino.
Il tè bianco a bollore.
Sentire che la finestra è aperta.
Ma c’è una cosa che dice che fa fresco e che ritorna ogni anno uguale.
La gatta che vuole stare addosso.
E che non si accontenta di stare semplicemente sopra di me.
No.
Lei vuole decidere dove stare e quale posizione precisamente devo assumere io.
Se non sono messa come vuole lei mi dà piccoli colpi con la zampa, miagola e si lamenta.
Fino a che non ho la postazione giusta delle gambe.
Che devono essere sdraiate, non incrociate e perfettamente alla stessa altezza.
Sulle gambe il pigiama non basta, deve esserci anche la coperta.
Una volta assunta la posizione, la gatta fa il giro, spiattellandomi prima in faccia il deretano, poi parcheggiandolo con eleganza e mettendo il muso a tre cm dal mio naso.
A quel punto accende le fusa soddisfatta.
Solo un componente della famiglia sfugge alla dittatura del gatto.
Il piccolo.
Troppo irrequieto, imprevedibile, sempre in moto.
La gatta non ha mai, mai, mai tentato di dormire nel suo letto, non ha mai cercato di salirgli in braccio, non ha mai provato a stargli vicino.
Il piccolo è la kripronite del gatto, perché è più imprevedibile di lui.