Non uno, due

Signore e signori, ecco a voi un bimbo che non ha l’autografo di Dustin Hoffman, ne ha due.

Perché due, vi chiederete…

Ebbene, signore e signori della giuria, ci sono tre dati incontrovertibili che mi accingo a presentare.

1) il piccolo non conosce i film Dustin Hoffman.

2) ciononostante, è stato felice di aver fatto la comparsa nel film che sta girando a Lucca.

3) come già sapete da qualche post precedente, Dustin Hoffman è sempre accompagnato dalla guardia del corpo.

Ampliando i punti sopra citati, e mettendoli in relazione, occorre anche aggiungere che:

1a) agli occhi di un bambino Dustin Hoffman è un affettuoso e simpatico vecchietto.

2a) Dustin Hoffman ha concesso autografi a tutti i bambini che hanno fatto il film con lui.

3a) agli occhi del succitato bambino, la guardia del corpo risulta assai più fica di Dustin Hoffman stesso.

Ciò ha fatto sì che il piccolo, si sia prima fatto fare l’autografo dall’ attore ormai lucchese, ma poi abbia ritenuto molto più interessante, chiedere l’ autografo alla guardia del corpo.

La guardia del corpo medesima, ha preso in mano il foglietto, ha detto “Gu” e è tornato dopo pochi istanti con una seconda firma di Dustin Hoffman.

Il piccolo ha cercato di spiegare al gorilla che era il suo, e non quello del suo protetto, l’autografo desiderato, ma il gorilla (ci sarà un perché, se li chiamano così) ha scosso la testa pensando che ne volesse un terzo e lo ha mandato via.

Il piccolo mi ha preso la mano sorridendo.

Pazienza, quello scritto più bello lo regalo a babbo, io che ci faccio con due autografi?

Io ho guardato i suoi occhi luminosi, sono stata un po’ gelosa che abbia pensato al babbo, ho strinto la sua mano e ce ne siamo andati saltellando per le strade di Lucca.

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Il fascismo

Il fascismo è sul fondo del mare, a bocca aperta, mentre divora senza sosta i corpi di anime disperate.

Il fascismo è su comode sedie, dalle quali ora subdolamente, ora da gradassi, propone leggi, impone bavagli, insinua sospetti, manovra coscienze.

Il fascismo è nei piccoli pensieri meschini della gente, sono albanesi, non guardano i loro figli, sono rumeni, pensano solo a prendere, sono africani, vengono a rubare le nostre cose, e si annida, profondo, ogni volta che tacciamo per quieto vivere o per stanchezza.

Il fascismo è la fierezza di chi non paga le tasse e vorrebbe saltare la coda al pronto soccorso.

Il fascismo ha la giacca e la cravatta, il tailleur e la messa in piega perfetta di chi vota a Bruxelles per dispetto a una ragazza chiusa in cella.

Il fascismo cresce nella distrazione, nell’apatia, nell’indifferenza.

Occorre un nuovo antifascismo.

Che parta dalla testimonianza ma alla testimonianza non si fermi.

Che parli, ogni volta che è necessario.

Che si impegni, a ogni livello di decisione.

Che abbia ancora la forza di indignarsi e raccontare le ingiustizie.

Un antifascismo tanto faticoso quanto necessario.

Che riparta da oggi per i giorni a venire.

Felice Liberazione a tutti.

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Alla ‘oppe di mattina

Il mio fantastico giorno libero di martedì mi regala momenti di grandi soddisfazioni.

Uno è andare al supermercato di martedì mattina, esperienza che non credevo mai avrei fatto nella vita.

Al supermercato di martedì mattina siamo io, nonna Abelarda, Geppetto, il vecchio saggio della montagna di Asterix e Matusalemme.

I vegliardi di cui sopra, per ricordare i tempi andati della loro gioventù usano il carrello come la biga di BenHur, e fanno a gara nel corridoio dei borlotti in scatola.

Restano davanti al frigo aperto degli yogurt tentando il suicidio, soppesano la pasta per verificare che sia davvero mezzo chilo.

Con una signora però ieri è scattato il feeling.

Era con la figlia, voleva comprare non so cosa.

E ha detto a voce alta sei per sette quarantadue, proprio mentre il suo carrello incrociava il mio.

Non ho resistito.

Più due?

Ho chiesto alla signora.

La signora presa alla sprovvista ha iniziato a ridere, a ridere, a ridere, di una risata così bella che mi sono messa a ridere anche io, e la figlia, che non aveva sentito, ci guardava come due sceme e la cosa ci faceva morire dal ridere ancora di più.

Ci siamo salutate con le lacrime agli occhi.

Io ho immaginato 44 gatti che l’aspettavano a casa, lei avrà pensato la stessa cosa di me.

Ridere al supermercato con una sconosciuta.

Un lusso, di chi ha il giorno libero di martedì.

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Comacchio

Comacchio con la pioggia battente non ha pietà.

Non si cura delle scarpe alla moda degli studenti, ancor meno di quelle delle studentesse.

Non si cura dei lunghi capelli, che scompiglia e bagna senza pensarci due volte.

Non si preoccupa dei jeans inzuppati, degli zaini sgonfi, delle mani intirizzite.

Ma resta bellissima.

Anche così, respingente e deserta.

Raccontante storie di miseria antica, di pesca di frodo fatta alle spalle dei signori, e per questo resa simpatica dalle parole indulgenti della guida.

Storie di pesca ufficiale e quotidiana, condotta dai poveri più fortunati degli altri, passanti la vita nel mezzo dell’acqua, le mani fra le anguille scodinzolanti anche dopo morte, gli zoccoli rumorosi, il fumo dei camini della marineria, le donne col fazzoletto, gli uomini con la pipa a ricucire reti.

Storie di ponti e canali, di pietra e di acqua salmastra e verdognola.

Storie di vento e di vele.

Storie di fiume e di mare, mescolati in un salmastro rimescolìo di mondi.

Comacchio commuove, anche quando maltratta, anche quando ti bagna e ti spettina, anche quando ti insegna che pure la primavera può essere un lusso, in un posto che ha conosciuto la povertà e il duro lavoro.

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ANPI bella e necessaria

Mi piace rinnovare d’aprile, la tessera dell’ANPI.

Mi piace perché la resistenza è necessaria, di questi tempi sempre di più.

Mi piace perché i fiori d’aprile ci raccontano che anche nelle notti più buie occorre seminare.

Perché la primavera arriva, i semi nascono, le piante fioriscono, la giustizia avanza, sempre.

Anche se si tenta di ridurla al silenzio, di censurarla, di  nasconderla.

Perché si può calpestare un fiore, ma non un prato, non cento prati, non mille prati.

La nazione, le nazioni, il mondo, sono al buio.

Un buio che sembra appena cominciato, e per questo più lungo dell’ immaginabile, più spaventoso, più scorante.

Per questo chiunque può, semini.

Chi può non taccia.

Chi può parli.

Chi può tenga in alto il suo fiore.

Perché davanti alla barbarie che avanza senza sosta l’unica speranza è nella collettività delle persone, nel creare uno, cento, mille campi, di modo che le scarpe zozze e pesanti del fascismo trovino sempre più fiori di quanti siano capaci di calpestare.

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Wetter Hamburg

Mi ha scritto una mia amica.

Una ex collega, turca, una manager capace e intelligente.

Ha lasciato Istanbul e vive in Germania, ci sentimmo velocemente la notte del colpo di stato in Turchia, le chiesi come stava, mi rispose che non aveva modo di scrivermi molto.

Ne fui molto preoccupata.

Adesso l’ho risentita, sono felice di saperla sulla mia Elba, la sento più vicina, la immagino più serena.

Ed è una grande tristezza.

Perché di Istanbul ricordo la struggente bellezza, le attenzioni gentili di driver Halil, e le sue assurde canzoni, ricordo i canti, i profumi, le luci, il bazar, la grande moschea, le strade strette, il vento, il Marmara Denise, il mare di Marmara, studiato alle elementari e toccato con emozione.

Il mondo è diventato più brutto in vent’anni.

Nazionalismi, fascismi, piccoli e grandi dittatori.

E le persone intelligenti e brillanti che vivono dove possono, dove trovano, dove sperano di essere, finalmente, sereni.

Spero di abbracciarla presto, qui, o lì, e penserò a lei quando domattina metterò una goccia sul suo profumo al mandarino, che mi regalò un pomeriggio dopo un’ispezione andata bene con i giapponesi.

Perché in effetti è buffo a pensarlo, ma sì, sono stata a Istanbul, a gestire dei giapponesi, con un’amica turca che adesso vive in Germania.

Quando il mondo sembrava un bel posto dove stare.

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Wetter Berlin

Lucca, un cielo volubile, un vento strano, freddo, al quale non ero più abituata.

Guido verso il piccolo, in temporaneo esilio dai nonni fino alla guarigione di HDC.

Accendo la radio, per farmi coraggio e compagnia.

Radio tre manda il meteo, e una voce gentile dichiara sei gradi e cielo coperto, ma pieno di vento a Berlino.

E improvvisamente non sono più sulla via di Sant’Alessio, ma sulla Leipziger Straße, scendo di macchina, vado a piedi fino a Potsdamer Platz, naso all’ aria, come faccio sempre a Berlino, cane innamorato dell’odore del suo cielo, le mani in tasca, il naso nel collo del giacchetto, in cerca di un berretto gentile.

Tutto in un colpo ho voglia di Matjesbrötchen per cena, ho voglia di fare un salto a Rossman, di prendere il primo treno per Dresda, o un autobus, fa lo stesso.

Ho voglia di vedere intorno tedeschi su biciclette super tecnologiche prendersi terribilmente sul serio, a volte ridicolmente sul serio.

Ho voglia di sentire di nuovo intorno quella lingua strana della quale un po’ diventa rumore, quando smetto di capire e di ascoltare tutto.

Ho voglia di andare via.

Ho molta, molta voglia di andare via.

E lo so, che prima o poi succederà.

Perfino sulle curve della via dei Sant’Alessio.

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Il quarto segreto di fatima

Da domenica pomeriggio HDC è decisamente fuori uso.

Febbre che non molla, faccia bollita, dolori vari.

Io dormo in camera del piccolo e il piccolo dorme dai nonni, il povero malato è in isolamento e viene contattato solo per essere nutrito e, come possibile, supportato.

Non è COVID, il tampone è negativo.

È con ogni probabilità un virus simile al mio, ma che su di lui picchia un po’ più duro.

La Tachipirina scorre a fiumi, ma dopo poche ore smette di fare effetto e la febbre ritorna.

Così ieri mi sono messa a guardare sul foglietto illustrativo dopo quante ore si poteva ridare la Tachipirina 1000.

Ora, io ho lavorato dodici anni nell’ industria farmaceutica.

Ho contribuito anche a scriverli, i foglietti illustrativi.

Ho ispezionato le aziende fornitrici di foglietti stampati e perfino quelle fornitrici di macchinari per il confezionamento.

È c’è un mistero che non riuscirò mai a sdipanare.

Come ripiegare un foglietto illustrativo una volta aperto.

Sembra semplicissimo, basta seguire le pieghe.

Ma come mai dopo la prima non tornano più?

Perché non possono fare una fisarmonica e bona lì?

Non credo che riuscirò mai a venirne a capo.

Una volta aperto ammattisco per cercare di rispettare la piega originale e ogni volta finisco per crearne una nuova fra moccoli e imprecazioni.

Deve essere una roba simile alla dislessia o alla discalculia, che ne so. Per quanto mi riguarda è un’impresa fuori dalla mia portata.

Comunque è non prima di 4 ore.

Così vi evito la stessa rottura.

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Di batteri e di meduse

Ieri con le quinte abbiamo fatto il tradizionale piccolo viaggio a Bologna alla fondazione Golinelli.

Trasformazione batterica e purificazione della proteina per la fluorescenza.

È da un lato un mio bisogno didattico, il mostrare loro cosa sono in grado di fare con un buon laboratorio a disposizione e pure un po’ una piccola soddisfazione vederli uscire felici e sentirmi dire non avrei mai immaginato che sarebbe stato così interessante.

Nella mia scuola, dall’ impronta così fortemente umanistica, le scienze naturali hanno a volte ancora un’aura accessoria, decorativa, da piccola mostra naturale, farfalle infilzate, conchiglie catalogate, uccellini impagliati.

Anche questo siamo noi e anche questo è utile.

Ma rischia di rimanere vuoto se lo si usa soltanto in termini storici, o, appunto, decorativi.

Gli insetti hanno storie evolutive straordinarie da raccontare, così come le conchiglie ritorte dei gasteropodi, o i diversi becchi degli uccelli.

E dietro a tutto ciò la danza del DNA, la sua organizzazione, le sue mutazioni.

La contingenza grande regina che regna su tutto.

Mostrare loro che il DNA cambia un organismo, che loro stessi possono farlo, che basta un pomeriggio e un po’ di attrezzatura, serve per staccare le farfalle dalla spilla e farle volare nel cielo della scienza, serve per aprire le finestre e far entrare il mondo fuori, serve per capire che la scienza non è solo una bella ciliegina su una torta, la scienza è in ognuno di noi.

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Un bambino

Sabato nella zona di casa di nonna Ida è stato investito un bambino che andava in bici.

Le poche notizie che arrivano dicono che non sia in pericolo di vita ma è stato portato al Meyer in elicottero e la cosa ha davvero colpito tutti.

Poteva essere una tragedia.

È una zona di campagna, nella quale ci sono viottoli che si inseriscono nella strada, asfaltata, con il limite di velocità di 30 km/h e senza spazio laterale, a volte neanche per scambiarsi con la macchina.

I bimbi hanno la sciaguratezza dei bambini e le macchine vanno sempre, sempre, sempre, molto più veloci del limite di velocità.

Sono cresciuta in un posto la cui strada per arrivarci era sterrata e tutta buche, pozzanghere e cunette.

Quando non c’erano, Santina le rifaceva, con la zappa.

Quando protestavamo perché la strada era un casino ribatteva sempre qui c’enno i bamboretti che giochin sulla corte e sulla strada, le machine hanno a andà piano.

E ha protetto la nostra infanzia.

Le macchine non sceglievano se andare piano, le macchine dovevano andare piano.

Triste pensare che sia l’unico modo, ma così è.

Fra l’altro, nel caso specifico, la macchina non credo andasse forte, il conducente era disperato, HDC si è messo a consolare lui, che era davvero distrutto.

Ma è una strada di campagna, e le strade di campagna dovrebbero essere il regno dei bambini.

Andate piano, tanto non si vince nulla, e la volta che va male si piange tutti.

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