Ricordo a scuola i racconti sui giorni della merla.
Il tentativo goffo di farne un disegno, la storia letta sul libro di lettura, la maestra che ne ricava, come faceva spesso e volentieri, moniti e morali.
Dopo i giorni della merla iniziavano le storie e i disegni con le maschere.
Iniziava la grande discesa verso la primavera.
Iniziavano i giorni più lunghi, anche se febbraio febbraietto era corto corto e maledetto.
Alle elementari il tempo passava inesorabile, ogni anno un nuovo giro di ruota, noi più grandi ma ancora piccoli, le storie, i quaderni a righe e quelli a quadretti, le matite colorate, le tempere nell’armadietto, la colla coccoina custodita come una reliquia sulla cattedra della maestra, che ne dispensava quantità perfette per non sprecarne un grammo.
Le tabelline a memoria, le capitali d’Europa, gli affluenti del Po, le Alpi e le città del quadrilatero.
Le frazioni, proprie, improprie e apparenti, l’area del cerchio e del triangolo e pentagoni e esagoni e l’apotema e diviso due.
Ho amato le elementari, forse più di tutte le altre scuole fatte, forse più dell’Università.
Ho amato le elementari perché sono state il mio primo mondo collettivo, dove forse non ero né capita né apprezzata dai compagni, ma anche io non è che mi sforzassi troppo per capirli, troppo strani ai miei occhi, occhi del matto contromano.
Le ho amate lo stesso perché non cercavo loro, a scuola.
A scuola cercavo il Sapere, e i giorni della merla ne erano un indimenticabile pezzettino.
Eri proprio una ‘secchiona’! <3