San Luca ore 17.10
Alla fine mi è presa strizza.
Durante un attacco di tosse più violento e più duraturo degli altri, con la gola chiusa e la testa nel pallone ho chiamato il dottore, che mi ha detto di chiamare il 112 che mi ha passato il soccorso sanitario che al mercato mio padre comprò.
E il soccorso sanitario dopo una breve chiacchierata ha deciso di venire a prendermi.
Mi hanno messo su una bella e comoda ambulanza, mi hanno fatto indossare una maschera molto elegante e mi hanno dato dell’ossigeno.
Buono…
Mi pareva di volare leggera come un palloncino.
“Questo fa resuscitare i morti, figurati una RAGAZZA come te”.
Ragazza.
Wow.
Il pronto soccorso del San Luca sembra il sotterraneo di un traghetto, non ci sono finestre, luce artificiale, soffitti bassi.
Il personale, lo voglio scrivere in cielo, straordinario.
Gentili, professionali, attenti e sempre col sorriso sulle labbra.
Lavorano in condizioni incredibili, corridoi intasati di barelle, uomini, donne, anziani (ho capito perché mi hanno chiamato “RAGAZZA”, qui abbasso la media di alcune decine di anni) con ogni tipo di problema, da un femore rotto al delirio, mi sento fortunata ad essere qui solo a scongiurare una polmonite.
Sono arrivata un quarto alle quattro, mi hanno detto di fare la bocca alla notte inoltrata, spero di attaccare bottone con qualcuno, ma accanto a me solo vecchietti furibondi con la vita (difficile non comprenderli) e poco inclini ai discorsi a bischero.
Così tengo questo diario, che come nelle migliori tradizioni, pubblicherò domattina, quando sarò già uscita da qui.
Ore 18.10
Al momento tutto tace, io guardo le mille storie che affollano questo posto e mi colpisce una signora anzianissima, dalla pelle di carta velina, i capelli di ragnatela e una figlia che l’anziana sembrerebbe lei.E di restare da sola.
E di restare da sola.
La signora ha due paure che la tormentano.Di restare lì.
Per cui alterna le frasi alla figlia con quelle all’istituzione.
Alla figlia chiede di non lasciarla mai.
Agli infermieri di portarla via, ma, si raccomanda, con la figlia.
La figlia è imbarazzata dall’insistenza della mamma, le chiede di parlare piano, la rassicura, le mette in bocca con calma cucchiaiate di omogenizzato alla frutta.
La signora non si rassegna, punta al cielo le dita nodose da vecchia pianta e fa quasi le bizze come un bambino.
La figlia la tratta da tale.
All’inverso dei ruoli che hanno un tempo vissuto.
Io avrei voglia di abbracciare entrambe, le sento parte di una umanità che non riesce ad accettare la vecchiaia, la morte forse.
Io sono come loro, anche io non voglio invecchiare, anche io voglio restare la RAGAZZA del pronto soccorso.
Ore 18.20, intermezzo divertente.
C’è un ragazzo con una gamba rotta, accompagnato dalla mamma perché minorenne, anche se gigante.
A un certo punto alla mamma squilla il cellulare: “IMBECILLE SUPREMO” compare sullo schermo.
“Credo che tuo padre sia qua fuori, perché sta chiamando…”
Commenta la mamma.
Ore 19.00
Zattere
Sembriamo tutti un po’ naufraghi, ognuno sulla sua zattera, su un mare immobile e senza vento.
Qualcuno dà l’impressione di essere qui da tempo, o per lo meno di essere vecchie conoscenze.
Un tipo si aggira zoppicando, brontola a caso e si fa stracazziare dalle infermiere, che lo trattano come se lo conoscessero da sempre. Credo sia così.
Un signore gira elegantemente in pigiama e cardigan, deve aver passato la notte qui.
È un po’ come su un’isola deserta, c’è chi si costruisce la sua capanna, chi cerca di procurarsi cibo o acqua o conchiglie.
Nessuno di noi ha idea di quanto tempo ci resta da aspettare, ci dicono soltanto che rispetto a quello che ci aspettiamo la risposta è “di più”.
Così, ognuno intanto si organizza la sua vita da naufrago, sperando di vedere fumo all’orizzonte.
Precisazione delle 19.57: non erano pantaloni del pigiama, erano pantaloni da giorno. Solo brutti sperversi.
20.00 ho fame, ma non ci avevo pensato.
20.08
L’odiatore
L’odiatore è un vecchietto col naso cresciuto come quei funghi di legno sulle cortecce degli alberi.
Moccola e inveisce contro tutti, gli infermieri contano fino a mille prima di rispondere e raccolgono tutta la loro pazienza (a stare qui la mia già grandissima ammirazione per la categoria sta raggiungendo vette siderali), ma l’odiatore ne ha sempre una.
“Devo pisciare!”
“Andate più piano con la barella!”
“Qui c’è spiffero!”
“Infermiere!!! Mi abbassa la schiena?”
Gli infermieri possono fare qualsiasi cosa. Nulla placherà l’odiatore, perché mugugnare è la sua ragione di vita e un pronto soccorso il posto perfetto per farlo.
21.00 il cambio turno
Gli infermieri e le infermiere a fine turno rifioriscono, come se prendessero la rincorsa per tuffarsi nel mondo dei sani, dove si veda il cielo, dove si corra a cena, a fare una doccia, a coccolare un bambino.
Dove, dopo tante ore di tempo dedicate agli altri, arriva il momento del tempo per sé.
Aggiornamento delle dieci di sera: nessun aggiornamento.
22.30 ho deciso di arredare la zattera.
Tutto mi fa pensare che non ne uscirò molto presto, devo fare la lastra e l’ECG e non mi hanno ancora chiamato per nessuno dei due.
Poi li deve guardare un medico.
Quindi ho deciso che il palo della flebo era perfetto come attaccapanni e adesso c’è il mio giacchetto e una borsina di stoffa che mi ha portato HDC da usare come mettitutto.
Ho il calmante per la tosse (che UN calma una seganulla), l’antibiotico, l’acqua, la settimana enigmistica e un lapis con la gomma in cima.
Posso arrivare a domattina senza problemi.
23.30 prima visita fatta.
L’isola dei medici è una specie di oasi nel deserto, si smette di sentirsi sospesi e ci si sente sotto controllo.
Dai primi esami pare solo una bruttissima bronchite, mi hanno fatto una pera di cortisone, una flebo, l’aerosol.
Aspetto la radiografia e i risultati degli esami del sangue.
Poi a nanna, che domani è un altro giorno.
23.51
Guardo lo sgocciolare rapido della flebo come si guarda una clessidra, mandare la sabbia dal vaso di sopra a quello di sotto, con la differenza che il vaso di sotto sono io.
Mentre aspetto per la lastra sono in un corridoio, dove mi arrivano le voci degli altri pazienti e dei medici.
La maggior parte della gente qui è anziana.
E temo ferocemente sola.
“Ha qualcuno che la può venire a prendere?”
…
“La facciamo portare in ambulanza?”
“È meglio…”
Sono fortunata, non ho la polmonite, ho solo i bronchi chiusi come un riccio, ho qualcuno che mi verrà a prendere e un sacco di gente con la quale ho chiacchierato via WhatsApp in queste ore.
Mi ha fatto bene.
Appena sarò guarita cercherò di vederli davvero, questi amici, magari con le gambe sotto a un tavolo e un bicchiere di vino in mano.
Non vedo l’ora.
Guarisci presto, carissimissima. Non puoi capire quanto ti sono vicina!!!
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1° buon natale buone feste di ogni possibile religione esistente
2°
fattelo dire da un veterano di pronti soccorsi e terapie intensive, l’hai presa bene sei una grande
il pronto soccorso del San Donato di Arezzo ha soffitti alti luci fredde e alte , tipo ponte della Enterprise di Star trek, medici e infermiere ( santi subito!) dagli occhi cerchiati che si tengono su a pentole di caffè e battute salaci. A settembre ( peggior ricovero degli ultimi 15 anni ascesso dentale torturante più cuore cui sono serviti 2 STENT ) eravamo solo in 4 degenti al pronto soccorso ; sono stato usato come paragone
infermiera a ragazzone che si era slogato per lo sport:
su su che non è niente , vedi lui che ha dolore che non dice niente !
( azzo avevo una flebo di morfina, chiamata in altro modo per pudore ,ma ero nel mezzo del miglior trip della mia vita ,sfido non dicevo niente ^^ non ero compos mentis )
Ma come hai fatto a ridurti così! Una sciarpina di lana, un cappello e piedi al caldo! Va bene che sei una ragazza, ma…
Che ti devo di’… Un troiaio.
Coraggio, poi passa!