Mi ha seguito.
È stato coraggioso.
Ha finto sicurezza, più per convincere se stesso che per convincere me.
Ma non ci è cascato.
È stanco di ospedali. Di medici. Di infermieri.
Anche dei migliori. Di quelli sorridenti, di quelli gentili, di quelli empatici. Che gran benedizione che ci siano.
Ma lo vedo, che quando qualcosa puzza di ospedale, un camice, un paio di guanti, uno stetoscopio, lui crolla un po’, cerca rifugio, cerca riparo.
E io posso solo allargare le braccia e farlo correre da me, farmi smoccicare la maglia dalla sua tristezza, dalla sua paura.
E ogni volta cercare una chiave perché tutto passi presto.
Ogni volta non sapere, di preciso, dove sia.
Poi tutto passa, anche un vaccino.
I medici scrivono un attestato di coraggio, che lui sente di non meritare. E me lo dice, uscendo per mano.
E allora sono io che gli ricordo che lui ha affrontato mille prove, mille medici, mille ospedali, mille infermieri.
E che è quello il suo coraggio.
Quello di accontentarsi di tenermi per mano, ogni volta che lo porto dove non vorrebbe andare.
Quello di fare ogni volta quello che c’è da fare, un passo dopo l’altro, anche questo, piccolissimo, ma così importante, verso una protezione necessaria.
Me la coccolo, la mia scintilla luminosa.
Domani torna a scuola, con un vaccino in tasca come un piccolo amuleto.
Bravo lui e naturalmenter voi!