Di alberi, di politica e di natura

Nella mia città siamo molto attaccati agli alberi.

Le nostre mura ne hanno una corona doppia, un tempo di platani, adesso di tutto un po’.

I platani iniziarono a morire dopo la guerra, la storia dice a causa di un parassita arrivato con le munizioni dei soldati canadesi, ignoro la solidità di questa storia ma me l’hanno sempre raccontata.

Da allora è iniziata la memoria storica degli alberi lucchesi.

Napoleonici, novecenteschi, ricordi della prima guerra mondiale (tutti i lecci cittadini o quasi) o molto più recenti.

I miei preferiti sono gli ippocastani che dal baluardo San Colombano arrivano quasi all’orto botanico.

E quando cade un albero mi piange il cuore, perché se ne va un pezzo di storia collettiva, un ombra di tutti, un frammento del verde mosaico di cui noi tutti abbiamo bisogno.

Da qualche anno però, in città, è sorto un enorme fraintendimento: l’equivalenza “albero=bene” “taglio=male”, figlio di quella cultura che identifica la “natura” col bene e l’uomo col male.

Se c’è una cosa che cerco di insegnare ai ragazzi è che non ci sono collegamenti fra “bene/male” e “naturale/artificiale” e che non sempre lasciar fare alla natura è una frase che ha senso, specialmente in un contesto addomesticato.

Provo con un esempio.

Frida è una gatta addomesticata.

Mi prendo cura di lei, le do da mangiare, la coccolo.

È stata sterilizzata da piccola.

Perché la veterinaria mi ha spiegato che le faceva male avere troppe gravidanze o troppi calori “a vuoto”.

È naturale sterilizzare un gatto?

Sicuramente no, ma fa parte di tutta una serie di cose che vanno fatte per viverci insieme.

È naturale potare un albero? Altrettanto no. Certamente, si puó e si deve fare per il verso, ma quando si amministra una cosa complessa come una comunità e si deve trovare il compromesso fra tenere gli alberi su un viale dove passano tir, auto e persone, potarli ogni anno (spendendo una ad esempio cifra x) o potarli ogni tre anni (spendendo una cifra x/3) usando i soldi per un bilancio che prevede il sociale, le strade, le mense, le case di riposo E gli alberi, ecco, lì, io smetto di avere le competenze per giudicare.

Un albero è un essere vivente che come tale arriva prima o poi a morire e a cadere.

La gestione di un albero non puó essere fatta in base a criteri come è tanto bello, la natura non si abbatte o mi ricordo quando ero piccola e amavo quest’albero (questa è la mia, così mi ci metto anche io).

La gestione di un albero in un contesto urbano prevede che si mettano insieme fattori apparentemente distanti, come ad esempio una casa famiglia per minori e la potatura in un viale.

Perché l’amministratore deve conciliare le tante cose: la gestione oculata delle risorse, la salvaguardia del verde e la salvaguardia dei minori nelle case d’accoglienza.

Per cui trovo piuttosto ridicolo fare foto ad alberi tagliati (dichiarati pericolosi) senza sapere perché, senza conoscere i rischi, senza ragionare in modo complesso.

La vita di un albero in un contesto urbano non è in sé. È in relazione a quello che ha intorno. Ho sentito parlare del fatto che l’albero in città sia esso stesso un ecosistema. Non è falso, ma l’ecosistema è la città stessa, la comunità stessa, nel suo insieme.

Ed è la società intera che deve essere protetta e gestita, non il singolo albero.

Semmai, quello che si puó e che si deve chiedere, è che per ogni albero che tocca abbattere si trovino i modi per piantarne un altro, magari due, anche se piccoli, perché gli alberi non sono solo per noi, sono per i figli e i nipoti, sono per il futuro della città e così come i napoleonici platani delle mura sono stati col tempo sostituiti da alberi che adesso ci pare siano stati lì da sempre, c’è da augurarsi che qualche bambino, mentre gioca all’ombra di un nuovo ciliegio, pensi che forse, al tempo di suo padre bambino, al posto del ciliegio c’era un pioppo.

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Una risposta a Di alberi, di politica e di natura

  1. marcoghibellino ha detto:

    ^^ concordo ; e telo dice uno che è stato addomesticato da lei

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