Repubblica

Degli anni del terrorismo ho pochi, sbiaditi, ricordi, filtrati dai pensieri e dalle parole di mia madre, ordinatrice del mio mondo bambino.

Se lei era felice, io ero felice, se lei era preoccupata, io ero preoccupata.

Quindi è attraverso di lei e dei suoi storici amici, che fumavano sigarette e parlavano di politica il sabato sera a casa nostra, che ricordo gli ultimi anni di piombo, attraverso loro conservo le paure degli anni precedenti la mia nascita, i colpi di stato tentati in Italia e quelli riusciti altrove, la paura di essere ascoltati al telefono, la sensazione, poi diventata certezza, di vivere in uno stato “a democrazia limitata”.

Poi iniziò il mio impegno, la mia voglia di cambiare il mondo e le cose.

Erano i tempi di mani pulite e crollo del CAF, furono i tempi delle stragi di mafia, furono i tempi delle guerre lontane.

Ma mia madre, i suoi amici, e quindi anche io, che con loro restavo da piccola, incapace di giocare con gli altri bambini, per la timidezza vinta coi cromosomi paterni, così a lungo detestata e adesso portata quasi come una medaglia, mai, mai, mai, avrebbero dubitato della Repubblica.

La Repubblica e la Costituzione, nate dalle macerie della barbarie, da proteggere e da salvare, perfino nei momenti peggiori.

Un giorno mi portò, mia madre, a salutare Nilde Jotti.

Ci sono stati dei momenti che ci saremmo aspettati di più dal Partito.

Le disse mia madre.

Ci sono stati dei momenti nei quali era chiaro che se avessimo tirato di più la corda della democrazia, quella corda si sarebbe rotta. E non potevamo permettercelo.

Le rispose la compagna Jotti.

Ecco, sono quelle parole, dette fra compagne, alla fine di una giornata, che ogni tanto mi rimbombano nella testa.

Che mi disegnano la dimensione della fragilità della Repubblica, della fragilità della democrazia.

E vedere cialtroni da quattro soldi urlare volgarità senza senso verso le istituzioni, senza un briciolo di dignità, senza la minima serietà, mi disgusta profondamente.

La Repubblica che tanto odiate è il sistema che vi permette di parlare, che vi permette di esistere e proliferare.

Tagliando il ramo sul quale il paese è seduto avrete la gloria di un istante, ma la rovina troverà anche voi.

Mi riferisco al nero sotto all’arancione, al razzismo di chi pensa di essere prima nella fila, all’ignoranza di chi amministra senza studiare, di chi urla senza avere niente da dire.

Il paese non ha bisogno di uomini forti, né di donne mascellari.

Ha bisogno di ritrovare il senso di stare insieme, di fare comunità, di capire che da solo non si salva nessuno, ma che tutti insieme ci possiamo salvare tutti.

Viva la Repubblica, viva la democrazia.

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Una risposta a Repubblica

  1. donnaallospecchio ha detto:

    hai espresso il mio pensiero meglio di come l’avrei fatto io, pensiero che vale anche altrove tipo il luogo dove vivo ora

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