Oggi si fanno le torte di Pasqua a farneta.
E io non ci sarò. Troppi impegni da onorare, troppe cose da chiudere prima delle feste, troppe riunioni da fare.
Ma ne ho chieste due, da mangiare tutti insieme: torta d’erbe e amaretto e crema.
Due grandi classici di casa mia, cavalli di battaglia inossidabili del mammuth.
E cosi mi limito a immaginare il profumo del forno acceso, in corte, con le fascine degli olivi e delle viti, il cachi dalle foglie nuove, i gatti impigriti sul tetto, il limone alto fino al cielo carico di limoni dell’anno passato e di fiori di quello venturo.
Mi immagino il cielo che vola, l’erba alta che ondeggia, trapuntata di margherite, botton d’oro e piscialletto, il glicine ruffiano e vaporoso, il lillà più discreto ma superbo, le rose rinnovate dalle potature, le ortensie ripartite, i San Marco che cominciano, il ciliegio che sfiorisce e mette piccole foglie color speranza.
Si va verso il tepore, verso il bello, verso la stagione delle stagioni, il sabato dell’anno.
Si mettono in forno torte da mangiare tutti insieme, si organizzano merende, si legge un libro fuori.
Un’ape arriva un po’ stonata, come un adolescente che ha dormito sul divano.
Ma c’è nettare anche per i ritardatari.
C’è nettare per tutti?