L’ho visto per caso, camaleonte metropolitano.
Un ragazzo, giovane, scuro di pelle, i corti capelli arricciati, le lunghe braccia muscolose che trattenevano il corpo rannicchiato tenendo con forza sotto le cosce.
Seduto, a una panchina di un parco, incolore, come la giornata di pioggia.
Dava l’idea di non star bene, piegato così, come un bambino col mal di pancia.
Dava l’idea di essere solo, di tale sentirsi.
Così mi sono avvicinata.
Ciao, stai bene? Hai bisogno di qualcosa?
Lui ha fatto un salto, terrorizzato, ha toccato nervosamente lo zaino.
No, sto bene!
Mi ha detto quasi difendendosi.
Negli occhi l’espressione di chi ha paura di un rimprovero imminente.
Non hai freddo? Non hai davvero bisogno di niente?
No, grazie, no….
Me ne sono andata.
Pensando a quando guardavo fuori dal finestrino di un aereo chiedendomi chi me l’ha fatto fare.
Pensando a quali erano i miei tesori, all’epoca: il passaporto, un pacco di caffè buono, il cellulare ben carico, un quaderno e una penna.
Pensando a che cosa lo aveva potuto spaventare così.
Forse solo non mi aveva sentito arrivare.
Forse pensava a cose lontane, come me, quando ero al mio finestrino.
Amori che non l’hanno trattenuto, affetti che l’hanno salutato, posti familiari che chissà quando rivedrà.
Forse niente di tutto questo.
Forse è stata la mia coda di paglia di abitante di un paese che si scopre cattivo.
Forse molte cose o forse nessuna.
Spero tu stia bene, illustre sconosciuto, che il mal di pancia sia passato, che un amico ti abbia accolto, tranquillizzato, e magari, come dicevo sempre io, ti abbia detto sono pazzi questi italiani!
Sarei stato terrorizzato anche io al suo posto.
Secondo me la tua domanda avrà sciolto, almeno un poco, il suo terrore.
—Alex