succede, a volte, di tornare in patrie affettive, Heimat del cuore, conquistate controvento, lasciate con tristezza anche se a volte ci hanno visto piangere.
o forse, i posti che ci hanno visto piangere e ripartire sono quelli che restano nell’anima.
A Dresda questo mi capita. Di sentirmi a casa, anche adesso che si rifà il trucco, anche adesso che tirano giù i vecchi trödel per farne moderni condomini, anche adesso che si pettina, la mattina, prima di uscire di casa.
Questo viaggio è stato il mio regalo di compleanno di un marito che mi conosce bene e che bene mi vuole.
Sono i giorni della stadtfest, la grande festa cittadina, dei fuochi d’artificio lungo il fiume, della birra bevuta fuori.
Nella bellissima piazza davanti alla Semper Opera, un fantastico gruppo di cantanti lirici ci prende per mano, ci racconta i passaggi delle arie più famose.
Poi, dopo Mozart, Rossini e Puccini, dopo aver messo in scena, ballato, scherzato, eccoli che si fermano.
Si mettono in fila, seri, precisi.
E iniziano il Nabucco. Va’ pensiero.
Ed eccomi qua, su una sedia, in una piazza, nella città che credo mia, a piangere per la nazione dalla quale vengo e alla quale tornerò.
Per la patria che credo morta, così in pochi anni imbarbarita, in pochi mesi inferocita, in pochi giorni in ginocchio senza sapere come tornare in piedi.
Sì bella e perduta…
Casa. Il posto dove crescere i figli, dove vivere e lavorare e amare.
Dovrebbe essere il posto più bello.
E invece è così amaro pensare a casa.
Ai ponti crollati.
Alle anime imbarbarite.
Alla violenza mentale.
All’ignoranza resa virtù, e non condizione senza colpa dalla quale è così importante uscire tutti insieme.
Che lungo viaggio, dai clivi e dai colli per arrivare fino qui, così persi, così poveri, così carogne.
Povera Italia, vuoi dire? E io ti rispondo con una banalità: non tutti gli Italiani sono barbari e carogne, una certa lucchese di mia conoscenza, ad esempio, e la sua splendida famiglia. :-)