pomeriggio a farneta, a respirare, a bere il verde del cielo e il blu dei prati. sdraiata al contrario, col naso all’aria e con un cane giallo dal naso molesto.
ho preteso di fare la mia passeggiata preferita, quella che punta dritto da casa mia fino a magazzeno, passando dietro popolo e dietro alla corte del moro, perché lì crescono i tromboni doppi e lì si capisce se la primavera arriverà o se è già arrivata.
perché lì si vede lucca, lontana e turrita, piccina com’è, quasi tenera, se vista dalla giusta distanza.
alla distanza giusta neanche lucca può mordere davvero.
perché lì mi trovo io, a ogni età, bambina, ragazza, donna, a camminare in un prato sentendomi come nel mio letto, comoda come nelle pantofole, sicura come in cucina.
perché lì vado quando sono felice, o anche quando non lo sono ma provo ad esserlo.
i tromboni gialli c’erano, ad aspettarmi, come ogni anno, insieme a un centinaio di pecore alte e nere, e marroni e nocciola e tante capre, tante quanto non riuscirei a contarne, grandi e rumorose, abbrancate da un cane che sembra bella, e infatti è sua nonna.
piera, la pastora, identica a se stessa nei secoli dei secoli, la stessa identica faccia di quando ero bambina, lo stesso modo gentile di chiacchierare (ma noi diremmo “di discorrere”) di chiedermi dove sono adesso, dove vivo e che faccio e guarda lì da quanto tempo non ci si vedeva è vero, non ci si vedeva da un sacco di tempo.
e un metro più in là, ancora bavoso di madre, un agnello appena nato, nero come la pece, sottile come un ragno, incredulo e paralizzato dal non sapere cosa fare, che quando si è al mondo da cinque minuti che cosa si può fare mai se non aspettare che il sole ti asciughi, imparare a mettere a fuoco una linea di prato, cercare tua madre col naso e con la bocca.
ma la madre, insicura e primipara è assente, fuggita spaventata da quello che le è uscito di dosso.
il pastore arriva di corsa.
ci conosciamo fin da bambini.
dà un’occhiata veloce, mi spiega che è sana, che è femmina, che la mamma sicuramente la ignorerà perché non sta bene e che il latte toccherà a lui, di darglielo.
rido a guardare questa nuova creatura ancora in salamoia, tenta di alzarsi, cade e riprova e ricade.
il pastore la prende e la porta alla stalla.
io continuo la mia passeggiata, pensando che è bello appartenere ad un posto dove nascono gli agnelli.
in mano i grassi tromboni gialli come il sole, le scarpe un po’ insudiciate, la pelle che ritrova il motivo di essere al mondo, respirandolo.
a casa mia madre mi consegna delle code di aglio appena raccolte.
per la pasta, che profuma di primavera, da mangiare sul terrazzo quando torni da scuola, se tua nonna te la prepara, se glielo chiedi nel modo giusto.
O vediamo se la primavera è veramente sulla strada giusta per arrivare fin qui oppure se quello zuzzerellone dell’autunno gioca ancora a pigliarci per il culo…
—Alex