sul pullman delle sei e venticinque salgono in parecchi alla stazione.
un signore che vedo tutte le mattine si guarda attorno, sgomento dei pochi posti rimasti liberi.
“ci siamo proprio tutti oggi eh?”
“eh sì, – gli risponde un altro che vedo ogni giorno,- non è un pullman, è uno scuolabus!”
la piccola comunità delle sei e venticinque, dopo un anno che ne faccio parte mi pare sempre più tale. ci sono le signore delle prime file, interessate alle notizie della radio dell’autista e al controllo della strada.
i dormiglioni della metà posteriore del pullman che pregano che non si sieda vicino a loro la gigantessa chiacchierona, una signora alta un metro e ottanta che non smette mai di chiacchierare.
quelli nel mezzo, che si rimescolano sempre e che si dividono in amanti del finestrino, per guardare fuori e amanti del corridoio, per stendere le gambe.
gli uomini amano i corridoi, le donne i finestrini, di solito.
io, per me, scelgo sempre un finestrino, se possibile sul lato destro del pullman, mi piace guardare il ciglio della strada.
e poi il diciassette, preso a volte alla stazione a volte in corsa dopo un sorpasso dell’autista del pullman.
stamani c’erano due ragazze che volevano parlar male di quella seduta accanto a me senza farsene accorgere. si sono accorte loro dopo dieci minuti che era la ragazza sbagliata, non era lei, era una che le somigliava.
stamani una vecchina ha aperto le finestre e appoggiato le piante fra i vetri e le persiane e poi ha guardato un po’ fuori.
mi ha fatto tenerezza.
stamani sono scesa dal diciassette quando ho visto spuntare il diecisettignano, il mio preferito, piccolo come una coccinella e con dentro sempre un pochino di posto.
e ho visto una bimba dagli occhi a mandorla che andava a scuola con una dalla pelle nocciola e i lisci capelli neri, parlando un fiorentino terrificante.
e m’è garbato.
fare il pendolare ha i suoi vantaggi, si vede ogni mattina un episodio dello stesso telefilm.
Sì, proprio vero…
Ma a me è passata la voglia di raccontarlo, questo telefilm.
—Alex
C’era un signore vecchio tempo fa che alla fermata del bus, per passare il tempo, si cantava sempre arie d’opera. Adesso non lo vedo più e mi è rimasto il rimpianto di non aver fatto mai un duetto con lui (Chi son? Sono un poeta/Mi chiamano Mimì). Sarebbe stato bellissimo!
Tenera Lucia. Guardarsi intorno, rendersi conto della realtà in cui stiamo vivendo è un dono. Sempre più raro.
Da piccolo( non ero guardone,veh!), mi capitava di vedere dal balcone l’anziana coppia dei vicini che ,nel loro salotto, giocava serenamente a carte, facendosi compagnia. Avevo dieci o dodici anni, ma non so perchè era balsamo per il cuore rendermi conto della tranquillizzante e protettiva serenità altrui ufficialmente sconosciuta e segreta.