aspettare

“esco tardi da lavorare, non farti aspettare, passo fuori dal palazzetto, fatti trovare pronta”.

andavo in piscina e avevo circa dieci anni.

gli ultimi minuti della piscina erano dedicati “ai tuffi”.

ma io non li facevo. uscivo prima. per due motivi. il primo era perchè mia madre non mi dovesse aspettare fuori dal palazzetto, il secondo  era perchè mi vergognavo di farmi vedere in costume. penserete che avevo scelto lo sport sbagliato… in effetti… ma pensavo che in acqua non mi si vedesse.

uscivo prima per non fare la fila alle docce. per asciugarmi di corsa, vestirmi e fiondarmi fuori in perfetto orario.

e lì aspettare.

e veder uscire tutti i miei compagni di nuoto che avevano fatto i tuffi, la fila alle docce, al phon eccetera e erano pronti venti minuti dopo di me.

e sentirmi dire: “ma sei ancora lì?”

non lo so se è un bene o un male ma all’epoca non c’erano i cellulari.

e io immaginavo ogni volta, ogni santa volta,  orribili scenari.

nel primo semplicemente si era scordata di passarmi a prendere, cosa che non è mai successa comunque.

nel secondo aveva fatto un incidente.

nel terzo mi aveva venduto al circo.

zundapp ha fatto un posticino sull’argomento che mi ha dato l’ispirazione per il mio. lo trovate qui.

gli anni passati a aspettare la mia mamma da qualche parte (ancora ricordo come un incubo il famoso: “ci vediamo in piazzale verdi FRA LE SEI E LE SEI E MEZZO” che io arrivavo dieci alle sei e lei dieci alle sette, sostenendo di essere in ritardo solo di venti  minuti) mi hanno reso intollerante ai ritardi.

divento matta. quasi ossessiva.

vi metto qui un racconto che ho scritto tanti anni fa. è il mio primo racconto mai pubblicato da una rivista. ne andavo molto orgogliosa. era il 1999 e raccontava di fatti accaduti anni prima. chiedo scusa a tutti quelli che lo hanno già letto e ehm… chiedo scusa ai fisici! sapete com’è… prima di un esame si pensano cose di cui poi ci si pente, e sappiate che no, non l’ho dimenticata. non tutta almeno.

lo dedico questo raccontino alla stessa persona per il quale lo scrissi, che ha un’idea del tempo decisamente diversa dalla mia, che mi ha tirato fuori da sotto un tavolo una volta che mi ci ero nascosta per l’umiliazione di essere arrivata tardi, incredibilmente tardi, a un appuntamento proprio con lui, che lascia che il tempo gli allunghi i capelli e gli sformi le scarpe, senza troppo curarsi del fatto che passa.

Uno, due, tre, quattro… Se faccio meno di trenta passi da qui fino al palo l’esame mi va bene. Come ogni volta prima di un esame aspetto il treno. Come ogni volta ho strizza. Strizza e senso di colpa. Il vago strisciante senso di colpa di chi ha  paura. Paura di non aver studiato tutto, di non aver studiato bene.
Insieme pero’ mi tranquillizza l’idea di non avere piu’ tempo per studiare. “Ormai quel che e’ fatto e’ fatto”. Falso. Posso studiare aspettando il treno, sul treno stesso come tutti gli altri studenti, mentre aspetto di essere chiamata… Il problema e’ che non ne ho davvero piu’ voglia. Fisica e’ una materia di merda e domani l’avro’ gia’ dimenticata. Ventisette, ventotto… Con un salto raggiungo il palo giusto in tempo col ventinove. Bisogna barare nelle sfide col caso. Il treno e’ in ritardo. Io no. Io non arrivo mai tardi. Mai. Semmai arrivo in  anticipo. E poi rompo le palle a chi arriva tardi. I miei amici dicono che sono troppo ansiosa. Uno un giorno mi disse che ero addirittura ansiogena. Naturalmente lo stavo aspettando, stavo aspettando che finisse la doccia, che uscisse dal bagno e che finalmente si accorgesse che lo stavo aspettando. Credo che stia ancora regolando la temperatura dell’acqua… Ormai non e’ piu’ importante. Adesso aspetto un treno, aspetto di arrivare a Pisa, aspetto di dare l’esame. E poi aspettero’ di innamorarmi di nuovo. Speriamo di non dover aspettare troppo… Fa freddo freddo. La stazione di Ripafratta sembra persa nel limbo delle ferrovie italiane.
Forse la stazione non esiste quando non ci sono  passeggeri che vi devono scendere o salire. Stamani ci sono solo io e la stazione e’ qui per me…

Questa voce è stata pubblicata in Senza categoria. Contrassegna il permalink.

12 risposte a aspettare

  1. ADBlues ha detto:

    Bello il racconto! Davvero!

    —Alex

  2. Mana ha detto:

    Vabbe’, facciamo outing. Io sono una ritardataria di default, sara’ un fatto genetico, boh, ma quei 10 minuti (scarsi) di ritardo mi perseguitano. Arrivare in anticipo agli appuntamenti poi per me sta a meta’ tra il patologico e il criminale…via, ti ci vuole un bel tedeschino e hai risolto: so’ preciiiisiiii! In mezzo a tutte le varie frau che bazzicano li’ a lavoro, ci sara’ pure qualche herr degno di nota, no? O siamo a rischio fofata?
    Comunque clap-clap per il raccontino e un buongiorno a te, cara!

  3. ADBlues ha detto:

    Aggiungo: anche io sono per la puntualità.
    Non sono un maniaco però i ritardatari cronici mi fanno “uggia”. (oh intendiamoci, poi una volta può capitare a tutti!).

    Soprattutto, nell’epoca dei telefonini e della comunicazione, non sopporto che qualcuno\a non mi avverta se è in ritardo.
    Sul lavoro poi, ucciderei volentieri con i 44 colpi di roncola (di fantozziana memoria) chi arriva tardi alle riunioni.

    —Alex

  4. Donna allo specchio ha detto:

    io dipende, se ho appuntamento con qualcuno cerco di arrivare almeno nei 10 minuti accademici, se invece non ho appuntamenti sono una ritardataria cronica, specie al mattino.

  5. Donna allo specchio ha detto:

    dimenticavo: bellino il racconto

  6. Ti abbraccerei. Anzi, ti abbraccio!

  7. unodicinque ha detto:

    faccio fatica a starti dietro Lucia, sono in ritardo di tre post ma il racconto è davvero carino. Io scrivo racconti brevi e sono sempre un po’ invidioso di chi riesce a tratteggiare in poche righe immagini così vive. Sorprendente, poi, il riferimento alla stazione che esiste solo quando ci sono i passeggeri. Me ne fai leggere qualcun’altro? :o)

  8. color72 ha detto:

    bello il racconto. te l’ho già detto che dovresti scrivere un libro!
    lorenzo

  9. zundapp ha detto:

    il racconto mi piace, davvero.
    ti devo presentare un mio amico, quando ci troviamo gli diamo gli orari falsi. Cioè, se la punta per tutti è per le 21 a lui mandiamo un sms dandogli appuntamento per le 20. Entro le 21.15 di solito arriva.

  10. Felipe ha detto:

    Anche per me la puntualità è una questione di vita. Peccato che non tutti la pensino allo stesso modo. Ricordo quando facevamo in federazione le riunioni giovanili ed ogni volta in calce alla mail scrivevo: “Si raccomanda la puntualità”. Mettiamo che si dovesse cominciare alle 21: io ero lì 5 minuti prima per aprire gli uffici, ma ancora alle 21,30 non vedevo nessuno. La gente cominciava ad arrivare verso le 21,45 poi qualcunaltro alle 22,30 perché prima doveva fare i cxxxi suoi… Ma magari chiamare per dire arrivate un po’ tardi no, vero? Ed un’altra volta ricordo che non si presentò nessuno.
    Passando però a momenti più felici, ricordo quando una volta verso i 18 anni, l’allora mia ragazza mi chiamo dicendo che quel giorno aveva casa vuota e che potevo venire da lei verso le 15. Non stavo più nella pelle, e proprio per la puntualità che mi ha sempre contraddistinto ho bussato alla porta di casa sua… alle 14,45. Che volete farci: altri tempi, e soprattutto bei mi’ tempi!

  11. Donna allo specchio ha detto:

    Felipe, mi sembri mia suocera: se le dico di venire a pranzo alle 12 e 30 (un inferno per me la domenica che ho tendenza a svegliarmi alle 10) lei si pianta li alle 12 (naturalmente beccandomi in ritardo sulla preparazione degli antipasti). Ho risolto il problema mettendola a lavorare

  12. Simona ha detto:

    Bel raccontino, e anche io voto per leggerne altri. E davvero, l’imagine della stazione che sparisce quando non ci sono viaggiatori è sublime!!
    smacche smacche!!!

Scrivi una risposta a ADBlues Cancella risposta